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19 maggio 2011 4 19 /05 /maggio /2011 12:41

Il lato oscuro II  - L’industria alimentare

 

Nello schema del Reg. 178 l’industria alimentare finale, quella che pone in commercio il prodotto acquistato dal consumatore, viene indicata quale terminale che deve “assicurare”,  e ne ha la responsabilità anche economica, il rispetto della “sicurezza alimentare” di tutto il  processo della filiera di produzione: dal campo alla forchetta.

Da un esame veloce e superficiale è facile individuare la figura dell’industria alimentare: il marchio, oppure la ragione sociale, che contraddistingue il prodotto.

Risulta altresì facile “vedere”  il consumatore: colui che in cambio di un sacchetto che contiene il prodotto alimentare, paga e riceve uno scontrino.

La maggior parte delle volte che chiedo ad un interlocutore di descrivermi la scena che immagina mi viene indicato: la fila al supermercato oppure alla cassa del negozio.

La “sicurezza alimentare”, secondo me, per essere ottenuta obbliga ad una visione più profonda. Numerose sono le tipologie di “industria alimentare” e di “consumatore”.

La riflessione del tutto personale riguarda in particolare i prodotti alimentari di origine animale “carne, uova, latte” relativamente a ciò che si svolge in Italia.

La considerazione tiene conto che per il consumatore il concetto di chilometro zero (km 0) sia positivo per tutte le derrate, anche vegetali, ed in particolar modo, per quelle derivate da animali, per le uova e il latte.

Si deve ricordare sempre che per la carne di pollo e per le uova da consumo la produzione italiana è autosufficiente, mentre per la carne suina, bovina e per il latte la produzione degli allevamenti italiani arriva a mala pena a coprire il 50% del fabbisogno.

Chiarisco, qualora ce ne fosse bisogno, che il mio interesse è che gli allevamenti italiani debbano produrre il fabbisogno totale: ne hanno tutti i mezzi ed il know-how.

Il primo punto critico è l’”italianità”. Qualora un’industria alimentare impieghi il marchio tricolore SI DEVE (è un imperativo della categoria) pretendere che vi sia una informazione completa e corretta al consumatore.

Se la torta o la pasta che produco e vendo sbandierando il tricolore è fabbricata con polvere di uova provenienti dall’Ucraina, senza nulla togliere alle produzioni ucraine, DEVO indicare la provenienza (data e luogo di produzione) dell’ingrediente uovo così come è in realtà.

Stesso discorso vale per qualsiasi altro tipo di prodotto: formaggio, latte e suoi derivati, carne e derivati della trasformazione della carne. Questo punto critico è il primo gradino della scala.

Il secondo gradino è definire come industria alimentare ogni punto della filiera (che chiamiamo per comodità SITO) e come consumatore ogni punto della filiera (ogni sito) che acquista “la derrata alimentare in divenire).

Il tutto non avrebbe la stessa valenza se il marchio NON vantasse alcun legame territoriale. Ho visto sempre più prodotti con l’indicazione “made in UE” e, come operatore del settore zootecnico italiano, ho avuto paura e mi sono sentito impotente, in quanto questa dicitura scavalca di netto il secondo gradino.

Il secondo gradino è importante perché DEVE costituire una sicurezza, tutta da dimostrare, per tutte le attività operative che vengono attuate nel sito e che si assume la responsabilità qualitativa anche di ogni ingrediente in entrata. Abbiamo potuto constatare quanto sia semplice e veloce distruggere la credibilità ed il valore di un marchio. Una singola mozzarella che cambia colore oppure un prodotto a base di carne che provoca degli scompensi ormonali fanno parte della storia.

Nel presente e nel futuro avremo nuove allerte e per motivi più disparati.  

 

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11 maggio 2011 3 11 /05 /maggio /2011 15:22

 

 

Il lato oscuro

 

Nell’industria agroalimentare e nel settore zootecnico in particolare (produzione e commercio di additivi, mangimi, allevamento di animali destinati a diventare derrata alimentare) è in vigore l’autocontrollo. La responsabilità totale di ciò che si svolge in ciascun sito è del sito stesso. L’apparato pubblico che prima certificava ed era responsabile dei requisiti operativi, ora non ha alcuna responsabilità se non la negligenza o il dolo.

Stiamo quindi vivendo un cambiamento epocale e, come in tutti i cambiamenti epocali, convivono abitudini e credenze talvolta perverse e deleterie, che possono rendere del tutto  inutile lo sforzo per mantenere le attività in una area.

La riflessione ha come obiettivo di approfondire alcune figure chiave e di valutare l’impatto negativo o positivo delle stesse sul sistema operativo territoriale italiano.

 

Consumatore

Ondivago tra la necessità di potersi permettere l’acquisto della derrata alimentare e la credenza dell’importanza della specialità territoriale, del chilometro zero.

 

Industria alimentare

 Sa come soddisfare il consumatore orientando opportunamente l’informazione per pilotare l’acquisto.

 

Pubblica amministrazione

Un tempo il grande Moloch da cui dipendeva l’autorizzazione, il modo di produrre, i controlli. Ora vive un momento di difficoltà. Numerosa per massicce assunzioni negli anni 80 e 90, deve far convivere un grande numero di operativi senza avere più i mezzi, stante la stretta obbligatoria per i fondi a disposizione. Prima, per quanto riguarda le spese, erano fuori da ogni controllo, ora sono sotto osservazione e nel breve mancheranno del tutto i fondi per pagare, in primis, gli stipendi e gli emolumenti. Agevole è prevedere che la dotazione di spesa segua l’ultra stretta decisa dalla amministrazione centrale unilateralmente ( ad esempio in UK fuori 2 risorse dentro 1n risorsa, per arrivare nel medio ad una riduzione sino al 50% degli effettivi) oppure dettata da coloro che debbono ripianare il default dello stato (Grecia, Irlanda, Portogallo). Già alcuni anni fa il dr. Belloli – ASL di Lodi, faceva notare la dicotomia tra la situazione italiana (+ 5.500 veterinari nelle asl italiane [750 in Lombardia] e i 400 della Francia oppure i 180 di UK) e lo faceva notare per trasformare il tutto in opportunità e non in sola voce di spesa o altro, lanciava per tempo un allarme.

Nel frattempo con la stretta dei fondi si è sviluppata la sindrome dell’operatore di traffico, risorsa del tutto precaria la cui permanenza è strettamente legata al monte delle multe che riesce a redigere nell’ambito della giornata e della settimana. Quindi un atteggiamento da venditore di enciclopedia britannica porta a porta oppure di assicurazio9ni: esiste se porti a casa i dané. Ma mentre le automobili sono in aumento e l’area dei parcheggi liberi in forte diminuzione (e quindi la tendenza è favorevole per gli operatori di traffico), nel settore zootecnico italiano i siti produttivi sono in costante calo. Da qui l’aumento delle visite, l’aumento dei partecipanti alle visite di controllo, la redazione di verbali e verbalini quale giustificazione della presenza. E’ facile per l’operatore pubblico considerare la propria convinzione come ancora valida e come se non operasse in un regime di autocontrollo, in particolare se poi genera i dané attraverso multe, ammende ed ammennicoli vari.

 

Imprenditore

Come da copione l’imprenditore predilige la via più semplice per arrivare alla soluzione. In questa riflessione chiameremo outsourcing questa naturale caratteristica dell’imprenditore. Il comportamento dell’imprenditore andrà quindi dal rapporto amichevole e discorsivo con i funzionari di controllo, dal bypass del controllo stesso, ad esempio andando a produrre sul suolo italiano, dove vi siano funzionari non così assetati, oppure in territori che gli permettano di vendere senza la fatica dei controlli.

 

Risorsa/Ruolo

E’ ancora da formare ma resta fondamentale per il successo del mantenimento delle attività operative nel territorio. Questo né il punto fondamentale della riflessione: vi è un terreno per poter creare una funzione che sia rappresentata da un ruolo e che sia impersonificata da una risorsa?

 

Consideriamo come si possano intersecare due figure: quella della pubblica amministrazione (PA) e quella della Risorsa/Ruolo (R).

 

PA

Il profilo professionale potrà essere +100 oppure -100.

Nello spazio da 0 a +100 vi è: funzionario attento al rispetto della norma ma non alla vessazione.

Nella spazio da 0 a – 100 vi è: al di là della norma cosa attuo per portare a casa un verbale che contempli comunque molte ed ammende?

 

R

Anche in questo caso il profilo professionale potrà essere + 100 oppure – 100.

Nello spazio da 0 a +100: Risorsa in continua preparazione, che conosce le normative e che sa che la responsabilità e dell’azienda e che ha preso le decisioni in funzione di queste due imperativi e li sa difendere di fronte a chiunque.

Nello spazio da 0 a – 100: Risorsa che è attenta a non inimicarsi la PA (atteggiamento che spetta semmai all’imprenditore) oppure accetta che l’imprenditore non confermi le decisioni prese dalla risorsa ritenuta sulla carta responsabile.

 

In effetti il tutto si risolve tra questi due antagonisti.

 

Si creano i quartili:

 

PA – R –

Ci troveremo inevitabilmente di fronte ad una catastrofe annunciata. Prima o poi vi sarà una non conformità grande che determinerà la fine dell’attività in modo traumatica oppure con una dolce morte.

 

PA – R +

E’ il percorso virtuoso. La Risorsa conosce, si prepara, verifica, difende le proprie decisioni. Al limite cambia attività. Questa Risorsa è rara e ad alto profilo professionale. La sua quotazione crescerà per ogni discussione, difesa, alterco, contenzioso, anche se perdente. E’ il quartile dove si crea sistema.

 

PA + R –

Outsourcing amichevole, oppure bypass oppure l’altrove. Alla PA NON interessa assolutamente, malgrado qualsiasi cosa venga affermata, la permanenza di una attività. E’ il cancro che nel risiko organico ha come obiettivo quello di distruggere l’organismo di cui fa parte, anche se con la morte dell’organismo muore anche la cellula cancerogena.

 

PA + R +

Il ruolo è in costante conflitto ma non deve arretrare di un solo centimetro. La PA si rende conto che non è cosa.

 

Certamente ogni quartile merita un approfondimento maggiore e siamo disponibili alla discussione.

Attualmente la stima è:

 

PA – R - : 60% delle situazioni

PA + R - : 380 % delle situazioni

PA – R +: < 2%

PA + R +: utopia, io personalmente non ne ho vista nemmeno una.

 

 

 

 

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3 maggio 2011 2 03 /05 /maggio /2011 10:07

L'industria di trasformazione della carne suina è una delle GEMME, con l'alta moda ed i monumenti dell'epoca romana e rinasimentale: il culatello ed il sorriso di monna lisa.

L'industria di trasformazione lo sa di essere GEMMA tant'è che riempie ogni spazio di tricolore e di territorialità made in italy. Ma commette, ahimè, un errore: non impiega neanche il 50% di carne di suini allevati e macellati in Italia, alla faccia del made in italy.

Molti di noi si ricordano, anche se maggiormanete si tratta di prodotti lattiero caseari, i marchi Invernizzi, Galbani, Locatelli, Cademartori. Ci sono ancora come marchi, la pagina web è stracolma di tricolore, MA vengaono FATTI altrove. E? il destino della nostra splendente GEMMA maialara.

I capi allevati in Italia nel 2010 sono stati 9,3 milioni. Quelli allevati in Germania 26,9, in Spagna 25,8, in Danimarca 12,2, come in Olanda.

Per produrre la carne di maiale abbiamo tutto, ma proprio tutto: know-how, spazio, necessità di buon concime naturale, competenze. Se lavorassimo come in Spagna alleveremmo 34 milioni di maiali. Se lavorassimo come in Danimarca 134 milioni.In questo ultimo caso creeremmo oltre 500.000 posti di lavoro e metteremmo in cassaforte la italica GEMMA.

Purtroppo siamo alla rotta di caporetto. Rien va plus.

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3 maggio 2011 2 03 /05 /maggio /2011 09:52

I dati Eurostat confermano che nel 2010 la produzione, nei 27 paesi UE, si attesta a 11,9 milioni di tonnellate, con un consumo medio di 24 kg per abitante e per anno. L'Italia è tra i primi 6 maggiori produttori con la quantità di 1,18 milioni di tonnellate e con un consumo medio di 20 kg per abitante e per anno.

Il consumo medio italiano è inferiore ai 48,9 kg dell'Olanda, dei 35 kg della Polonia e Ungheria, dei 27 kg della Francia, dei 30 kg della Spagna, dei 28 kg del Portogallo e dei 26 kg del Regno Unito. é inferiore MA produciamo la quantità che consumano i cittadini italiani ed i turisti: siamo autosufficienti e questo è un VALORE. Non abbiamo petrolio ma la mensa scolastica avrà i suoi petti, le sue ali e le cosce di pollo. Il consumo a km zero qui ha senso e valore, può essere attuato e tutto sta ad indicare che se crisi e consigli dei dietologi imporranno una crescita dei consumi abbiamo, come sistema italia, tutto per arrivare anche ai 48.9 kg per abitante e per anno dell'Olanda. In tal caso la produzione dovrà arrivare a 2,9 milioni di tonnellate, tranquilli!, abbiamo il know-how, le strutture e creeremmo 200.000 posti di lavoro certi e stabili in quanto legati alle esigenze alimentari della nostra popolazione.

 

Uova: ATTENTI!!!! Qui il consumo a km zero è ancora più significativo MA gli acquisti dell'i ndustria di treadformazione della materia prima uovo sono indirizzati a prodotti in polvere o tal quali di algtre contrade SENZA beninteso alcuna dichiarazione in etichetta. Consumatore italiano di cornetti e babà apri l'occhio e chiedi e pretendi di sapere l'origine degli ingredienti: suoi tuoi euro c'è segnnato dove sono stati stampati quindi deve valere la reciprocità 

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16 aprile 2011 6 16 /04 /aprile /2011 10:19

alla recente fiera di reggio emilia (dio mio quanto vecchiume!!!! quasi nullo il ricambio!!!!) ho avuto modo di chiarire la mia personale opinione. La proprietà di paralat NON è strategica per noi italiani se nelle produzioni parmalat non venga data la priorità, a parità di qualità e di prezzo di produzione di territorio (nel senso di produrre con un sistema uguale di regole), alle produzione del territorio stesso. Sino ad ora questo NON è avvenuto e parlo per esperienza personale. La quota di latte italiano NON ha mai superato il 20% del latte utilizzato da parmalat.

Se questo andazzo continua, che siano le cooperative italiane o lactalis e le cooperative francesi poco importa a noi cittadini italiani e consumatori italiani poco importa.

La miopia dell'industria di trasformazione italiana è stranota. Sbandiera il tricolore perchè questo è ritenuto un plus dal consumatore (produzione a chilometro zero: e l'alimentazione ha in se il significante di freschezza) ma poi utilizza e riutilizza di tutto, di spana, di francia, di danimarca, di germania, di brasile, di india, di eritrea. Ho ricordato che lactlalis ha in pancia i marchi galbani, invernizzi, locatelli, cademartori, e che le piattaforme italiane saranno soltanto di logistica perchè le produzioni sono altrove, dove l'agricoltura è ritenuta fondamentale per la gestione del territorio. Quello che vale per il formaggio vale anche per i salami (ben venga l'aia che gestisce montorsi, negroni, fini). Non siamo contro la logica industriale, siamo contro la svendita della territorialità senza averne alcun beneficio se non nel breve periodo, ma innescando la perdita nel medio.

Il territorio ritenevo che non fosse delocalizzabile invece lo è se sbandiero il territorio in maniera subdola. Il discorso della territorialità e della freschezza vale ancora di più per i vegetali. Quei vegetali che vengono coltivati in paesi che hanno energia nucleare dovrebbero portare una dicitura, a garanzia del consumatore, "prodotta inm olanda che impiega energia nucleare". L'informazione al consumatore resta sacrosanta e non dirlo alla fine sarà come un incidente sul lavoro: sono sorci verdi!

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31 marzo 2011 4 31 /03 /marzo /2011 12:33

Due notizie due.

In Germania stretta in tutti i mangimifici dopo lo scandalo dell'impiego di grassi industriali, chiusura di allevamenti, uccisione di animali, ritiro della merce dai supermercati.

Ritiro della merce dai supermercati????????

Da noi frotte di veterinari della asl a verificare se nei sacchi di carta vi è presenza di diossina, in ogni prodotto o prodottino, ma nessuno, nessuno, nessuno, proprio nessuno ha pensato di fermare i 300 bilici che ogni mese scaricano carne di maiale presso le nostre gloriose industrie produttrici di insaccati con la bandiera italiana.

W l'Italia!

In Cina ancora i maiali, questa volta la maggiore catena produttrice utilizzava un additivo proibito e pericoloso. Ritiri, inchieste, e quant'altro.

Il commercio mondiale ne conosce mille su mille di strade. Qui da noi vi sono controlli per i cereali in entrata per la salmonella nei porti. Quando una nave trasporta un carico certamente contaminato viene deviata sulle coste adriatiche vicine e lì scaricata per poi trasportare la merce via camion. La dogana di terra non ha gli stessi parametri della dogana dei porti!

W l'Italia!

 

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31 marzo 2011 4 31 /03 /marzo /2011 11:54

Ho iniziato l'attività nel settore zootecnico il 1 luglio del 1960 alla Philips spa in Piazza IV Novembre. L'allevamento italiano era allora polli, polli, polli. Ed i polli erano a Varese e Como. Il primo marchio di polli? di varese. Varese e Como erano la culla. La fiera più importante? Varese, nel magnifico parco della Villa di cui non ricordo il nome. Poi Varese e Como svaporano e la pollicoltura emigra in quel di brescias, verona, e forlì.

Ma perchè era nata ed era così importante proprio a Varese e Como? Me lo sono sempre chiesto senza potermi dare una risposta. Ne me la davano coloro ai quali lo chiedevo "Ma perchè all'inizio i polli, le uova, i riproduttori erano tutti a Varese e Como?". Tutti zitti ed alzavano le spalle.

Finchè ieri mi viene data la risposta.

"Perchè l'odore del pollo e della pollina copre alla stragrande l'odorato dei cani".

"Cani?". "Si".

"Non mi dire."

"Si te lo dico".

Il contrabbando di sigarette e di caffè. Ed i barconi puliti e risciacquati da pollina e la merce conservata sotto il megapollaio al riparo da qualsiasi ritrovamento. Il contrabbando sta alla base della nascita del nostro settore.

Dio mio, devo ripensare.

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27 marzo 2011 7 27 /03 /marzo /2011 11:05

Una società disposta a rinunciare a una libertà essenziale per acquisire un pò di sicurezza temporanea non merita ne l'una ne l'altra e le perderà entrambe. (B. FRanklin).

Negli anni 60 tutti i paesi europei avevano una gran fame. Per tutti la parola d'ordine era arrivare a produrre il fabbisogno nutritivo per la propria società. Produrre in autonomia il fabbisogno della popolazione della nazione è una necessità strategica, è una forma di libertà essenziale. Almeno per il nutrimento non dobbiamo attendere niente da nessuno. Ma immediatamente vennero alla ribalta le produzioni di frigoriferi, di lavatrici, di televisori, e noi italiani contrabbandammo queste produzioni "fatele fare a noi, fatele fare a noi", in cambio di forniture di  . . . .  carne e di latte. Il valore delle importazioni di carne e latte erano pari al valore delle importazioni del petrolio. Solo che il petrolio non lo avevamo, mentre se avessimo prodotto noi quella carne e quel latte avremmo dato lavoro ad oltre 2 milioni di tecnici. Ma i professoroni ti guardavano con l'occhio da pesce lesso "NO, l'Italia non ne ha i mezzi? Con cosa alimenta? Dovrebbe sempre importare i cereali? " ma come faceva l'olanda, bonifiche comprese, come faceva la francia? Ma soprattutto come ha fatto la Spagna ad arrivare a battere tutti, olanda compresa?

Quindi abbiamo barattato una libertà essenziale (l'autonomia nutrizionale) per una decina di anni di produzione di lamiere.

Adesso le lamiere si fanno altrove, certamente non da noi. Enoi continuiamo a non produrre quello che dovremmo.

Ma se quello che sta succedendo, e speriamo che si fermi, in giappone, avvenisse in francia? o in olanda, o in brasile, o in argentina, cosa daremmo da mangiare? Perchè per produrre latte e carne non si fa in una giornata, è un programma di almeno 10 anni, ed è un programma del tutto verde, ed è un programma del tutto doveroso.

Non andiamo a chiederglielo adesso al consumatore che trova sul banco della GDO ogni derrata e NON SA assolutamente da dove provenga, anche se è convinto che venga prodotta a chilometro zero. Il bluff verrà fuori, e sarà una delle crisi che ci farà trovare del tutto impreparati. Vergogna ed indignazione.

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27 marzo 2011 7 27 /03 /marzo /2011 10:52

leggo da Claudio Antonelli che Lactalis (detentrice di superbi marchi Locatelli, Galbani, Invernizzi, Cademartori, fra gli altri) ha dei problemi e sta chiudendo una linea produttiva in provincia di Bergamo. Opero nel settore zootecnico dal 1/7/1960 e se c'è una costante è nel comportamento aziendale degli zoocolonizzatori. Chi sono? Sono olandesi, belgi, francesi, e da un pò anche spagnoli, che vedono il mercato italiano come lo vedevano gli unni. ritirano una piccola entità, oppure la creano, in provincie "gentili", e invadono occupando il territorio. Caratteristiche?

- prodotti difficilmente capibili: lieviti che fanno crescere come missili, ad esempio

- polverine bianche a "base di aromi" che prevengono le diarree dei suinetti.

- la società ha solo il capitale sociale minimo e poi prestiti di banche italiane

- utile piccolo, un poco su ed un poco giù: un sano pareggio

- magazzino superveloce da arriva il camion alle 13 ed alle 15 è già tutto consegnato

- dipendenti davvero pochino, talvolta uno, gli altri free lance.

Ho avuto due contatti, lo dico come sempio, una prima volta vi erano dei dubbi sul lievito venduto. Ci chiesero di fare una analisi al volo e mi rivolsi ad un consulente che fece una hplc mista: i picchi di agenti chimici erano almeno 15, tutti bassi, salvo due, che non erano, al momento leggibili, i piccoli picchi erano di un pò di tutto: vari agenti chimici straconosciuti nel settore come proibiti. Venne rifatta l'analisi su un prelievo ufficiale ed un  istituto zooprofilattico confermò la presenza di almeno 4 sostanze proibite "ma in dosi molto basse".

L'altro contatto è stata una visita. Piccola fabbrica, davvero piccola. ed un mucchio di dipendenti. La proprietà alla fine era una banca che voleva disfarsi dell'investimento che aveva accumulato perdite su perdite. Quando chiesi notizie sugli stipendi mi sentii dire "Beh avevamo un problema, a fine anno dichiaravamo che gli stipendi erano inferiori per non uscire con perdite ancora più grosse." Ma come lo stipendio è una cifra che si conosce, ci si pagano i contributi, coem è possibile dichiararne di meno? E' possibile. E l'ho visto.

Hanno ritirato fior di marchi e li usano pro domo loro. In effetti, e sto parlando da zootecnicaro, che la parmalat sia di tanzi o di lactalis o di qualsasi altro, cambia ben poco. Per il latte italiano, quello prodotto dalle nostre vacche sui nostri campi, la parmalat ne ha sempre visto ben poco. quindi che vada dove vada, farne un caso nazionale è davvero troppo.

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24 marzo 2011 4 24 /03 /marzo /2011 13:05

La difesa della proprietà di Parmalat, come attore della filiera zootecnica, non mi preoccupa. di latte italiano da collecchio, per quanto consta a me, ne è sempre passato ben poco. Ma per questo si fa una battaglia?

Era meglio avere una politica sui marchi. Ed è urgente mettere e difendere l'italianità - la territorialità - nei marchi doc, dop, igt et similia. Ma vi è la volontàò di farlo e le risorse (persone) per farlo?

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