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4 marzo 2011 5 04 /03 /marzo /2011 10:17

Ritengo che l'informazione al consumatore debba essere affidabile e che possa costituire un vantaggio per le produzioni italiane di derrate alimentari provenienti da animali.

Le produzioni italiane vicono nel 2010 e per tutto il 2011 di uno stato di profonda e grave crisi. Nei periodi di crisi monetaria globale tutte le attività ne risentono ed i paesi importatori registrano maggiori difficoltà poichè i paesi esportatori intensificano le attività di penetrazione (utilizzando tutti i mezzi possibili, talvolta inimmaginibali) proprio per NO perdere alcuna possibilità per la collocazione delle loro produzioni eccedentarie e che sicuramente non possono essere assorbite dal consumo interno. Mi riferisco in particolare alle derrate alimentari carne, uova e latte. La crisi mondiali ha rallentato i consumi  e proprio per questo si è intensificata l'attività dei paesi esportatori verso l'italia di carne bovina, di carne suina e di latte. La situazione del comparto suino in italia è drammatica. Ma come l'informzione al consumatore può essere d'aiuto? In scenari indicavo nel terzo scenario (qualità definita) l'interesse per chiunque operi nel settore zootecnico italiano. Il legame prodotto-territorio resta un fondamentale non fosse solo per la ragione che il territorio non lo si può delocalizzare. Ma questo è vero?

Quando produci un salame e lo etichetti con la dizione Val di Susa ed utilizzi materie prime (carne suina) proveniente da allevamenti e macelli di spagna e/o germania (mi dicono che sono 300 i bilici che ogni mese portano carne di suino tedesca alle nostre inbdustrie di trasformazione [anche nel periodo della diossina? Si, dato che la russia ha bloccato ogni acquisto da germania, la destinazione italia è divenuta ancora più strategica!!!]. Se NON informi correttamente il consumatore stai delocalizzando all'interno (Dio mio!!!) il territorio. Stai vendendo al consumatore il territorio della Val di Susa in maniera impropria. Chi ci perde? Il consumatore perchè è turlupinato, gli allevatori di maiali della Val di Susa perchè non hanno la possibilità di vendere a loro volta le loro produzioni in quanto il loro costo è maggiore della carne estera, tutta la Val di Susa perchè, prima o poi, il giochino salterà e resterà solo la cattiva fama alla Val di Susa ("volveano farci credere che ..... ed invece, pensa te .......").

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22 febbraio 2011 2 22 /02 /febbraio /2011 15:56

quando si dice sparare cazzate. Mi riferisco alla precedente osservazione sull'articolo proveniente dall'Olanda. Si afferma, ed anche in maniera perentoria, che vi è un pericolo di assuefazione, in particolare ai betalattamici.

Ho avuto la mia influenza annuale. Mi sono curato con 2 grammi di Amoxicillina (betalattamico) per 3 giorni e per 1 grammo per altri 4 giorni. In totale ho assunto l'antibiotico per 7 giorni e per una quantità di 10 grammi.

Mio fratello mi ha accompagnato per mano per farmi tocare con mano la cazzata.

Il massimo residuo tollerabile, nella carne edibile di un animale, è di 2 microgrammi per kg di carne. Prendiamo pure la dose massima consentita: 2 microgrammi di betalattamico per kg di carne di pollo. Mangiando 1 tonnellata di carne di pollo potrei ingerire 1 mg di betalattico. Mangiando 1000 tonnellate di carne di pollo potrei ingerire 1 grammo di betalattamico, con 7.000 tonnellate di carne di pollo potrei curarmi l'influenza, così come ho fatto prendendo le dosi di antibiotico betalattamico riportate sopra. Non so se avrei potuto farlo nei 10 giorni.

Ma quando si dice: "ma non hanno proprio niente altro da fare?".

Ho niente altro da dire?

"senza aver nulla a pretendere, i fratelli Capone, che siamo noi.".

 

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21 febbraio 2011 1 21 /02 /febbraio /2011 14:01

sempre da All About Feed rilevo che negli USA sono stati richiamati dei mangimi per piccoli animali ed in particolare per cavalli in quanto contaminati da monensin. Monensin è un medicinale preventivo utilizzato per bovini e volatili ma fatale per i cavalli.

Dunque si tratta di un volgarissimo problema di contaminazione.

Il problema esiste solamente in quanto non si vogliono utilizzare le tecnologie appropriate che assicurano la soluzione.

Il mangime per cavalli potrebbe essere preparato esclusivamente da fabbriche che producono solamente mangime per questa specie animale.

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21 febbraio 2011 1 21 /02 /febbraio /2011 13:43

Da All Abaout Feed viene pubblicato un articoletto Chickens are risk to human health - con il sottotitolo che ricerche olandesi indicano che consumare la carne di pollame può causare negli umani resistenza agli antibiotici.

Le cause? Un massiccio impiego di antibiotici, in particolare betalattamici, dovuto ad "interessi" dei Veterinari nelle prescrizioni, in quanto sono anche dei farmacisti. L'articolo dichiara che i veterinari sono sottoposti a pressione dagli allevatori e se non prescrivono in abbondanza i farmaci gli allevatori cambiano veterinario! (sic!).

Ma che cosa cavolo dicono?

La quasi totalità dei polli e dei tacchini che arrivano sulle tavole sono prodotti, almeno in Italia, da circuiti integrati (grandi marchi che controllano l'intera filiera). Il farmaco viene utilizato con parsimonia in quanto è un elemento dei costi e quindi questa situazione potrà valere per l'Olanda, e ne dubito, ma certamente non vale per l'Italia.

L'articolo conclude invitando il Ministero ad un controllo dell'impiego degli antibiotici, il Ministero dell'Agricoltura auspica che vi sia un riduzione dell'impiego dell'ordine del 20% "ma che non vi sono dati certi sulle quantità "In 2010 the previous Dutch Minister of Agricolture demanded that the use of antibiotics in animal husbandry should be reduce by 20% compared to 2009, but clear data on the use have never been demonstrated.".

Questa propria non la capisco. La produzione, la distribuzione, le prescrizioni dei farmaci in Italia sono straconosciute e qualsiasi ASL ha accesso alla documentazione che deve essere riportata su dei fogli preverificati.

E' un allarmismo che proprio non capisco. "cui prodest" perchè certamente qualcuno ha interesse in tutto questo.

La struttura italiana è onerosa ma mi sembra che in questo caso sia possibile annotare che è un fattore di sicurezza anzichè di costo.

Certamente in Italia si è data grande importanza all'impiego corretto anche di forme di farmaci che assicurino il dosaggio e diminuiscano sia la contaminazione indesiderata sia le emissioni nell'ambiente dell'intera filiera.

Vuoi vedere che in questo siamo meglio dei primi della classe "gli olandesi"?

Perchè non confrontare il numero dei volatili allevati e i farmaci utilizzati nei due paesi?

 

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21 febbraio 2011 1 21 /02 /febbraio /2011 09:47

I primi dati della UE 27 indicano che nel 2010 sono state prodotte 149 milioni di tonnellate di mangimi per gli animali, registrando un + 0,5 rispetto all'anno precedente.

Poutry + 3%; swine - 1%; cattle stable.

Per il 2011 si prevede:

poultry + 0,5%

swine - 1,5%

Continua il dramma nel comparto suini.

Le riflessioni debbono portare a delle decisioni operative.

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15 febbraio 2011 2 15 /02 /febbraio /2011 10:35

sono sull'impiego di microingredienti per il benessere animale. Microingredienti sia nutrizionali (per la dieta) e sia terapeutici (per la prevenzione e la cura di malattie). All'origine vi è una decisione all'impiego che dovrebbe essere presa esclusivamente da Tecnici sia Nutrizionisti che Veterinari.

Questi Tecnici, stante la percezione attuale del mercato e la tendenza, non potrebbero prendere una decisione se non dopo essersi assicurati di tutte le possibili implicazioni ngative derivanti dall'utilizzo e dall'impiego del microingredinte stesso sino a quando non venga assunto nella bocca dell'animale.

Se il Tecnico decide senza interessarsi di tutto ciò che ritnra nella espressione "sicurezza", vi sarà una grande parte della filiera che dovrà barcamenarsi ed assumersi delle responsabilità comunque, anche se non sa assolutamente cosa fare.

Questo atteggiamento e comportamento ha avuto valore, ed anche questo potrebbe essere discusso, negli anni '70 e '80, ma è assolutamente inaccettabile dopo il 2002, almeno nella UE, ed anche per tutti quei paesi che, di riffa o di raffa, inviano loro derrate nel territorio della UE.

Se decide di impiegare lo zinco nella dieta dei polli, mi devo chiedere:

- beneficio per i polli

- eventuali implicazioni per il benessere animale qualora il dosaggio che indico dello zinco non sia sempre il medesimo.

- se la presenza non voluta di zinco per altri animali, che so i piccioni, possa comportare delle implicazioni negative.

- se la presenza di zinco possa comportare dei rischi per i manipolatori, per i distributori e per gli utilizzatori dei mangimi nei quali sia contenuto lo zinco, e per l'ambiente di filiera nel quale transita il mangime contenente lo zinco da me voluto.

- se nelle deiezioni vi sarà una presenza di zinco, in parte dovuta alla mia decisione, e questa presenza potrebbe comportare delle implicazioni negative per i terreni e per l'ambiente.

Questi sono alcuni punti a mò di esempio.

Se il tecnico ha delle titubanze su uno o più degli aspetti che sono relativi alla "sicurezza", in senso lato, farebbe meglio evitare l'utilizzo nei mangimi ed indicare altre vie di somministrazione, pr senso di responsabilità.

Sono 2 mila le tonellate che si impiegano in italia di zinco quale integrazione negli alimenti per animali.

Sono 15 mila quelle impiegate nella UE e 65 mila quelle impiegate nel mondo, sempre per lo zinco.

E tutto nasce da una decisione diun tecnico: Dio fa che questo tecnico ne sia conscio!!!

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2 febbraio 2011 3 02 /02 /febbraio /2011 12:53

su www.allaboutfeed.net viene riproposto l'articolo Vitamins and trace minerals: back to basics. Ritrovo nell'articolo quanto da me proposto da lungo tempo. L'articolo prende in considerazione l'ambito perlomeno europeo, mentre per me è fondamentale, anche se non dimentico l'europeo, il territorio italiano.

Cosa si dice in poche parole? Che è necessario tenere in considerazioni gli apporti naturali dei macroingredienti della dieta degli animali (per il loro alto costo, pr l'apporto ricco davvero in determinati componenti). Si parla quindi dell'integratore in funzione dei componenti della dieta. L'integrazione normalmente non può eccedere il 10-15% dei componenti della dieta. L'articolo fa anche riferimento all'aspetto economico, chiaramente importante, ed ancora più importante se riguarda l'Italia, un paese importatore di derrate alimentari (carne di suino e bovino e latte) e non produttore di vitamine e microminerali.

Al di là dell'aspetto economico, da non sottovalutare, vi sono poi altri due aspetti che per me sono importanti:

1 - Qualsiasi agente chimico (vitamine, oligominerali, enzimi, aminoacidi, altro) porta con l'acquisto alcune problematiche di difficile gestione: l'aspetto della sicurezza per le emissioni e per i manipolatori e gli utilizzatori, la scarsa o nulla conoscenza sui rischi per l'esposizione a miscugli di agenti chimici (le vitamine sono 13 e gli oligolementi 7), le problematiche legate allo smaltimento dei resti, degli imballi, delle deiezioni, dell'aria contenente emissioni indesiderate. Quindi se un agente chimico NON è strettamente necessario molto, ma molto meglio, non acquistarlo. Dire che lo si è sempre fatto non costituisce un alibi.

2 - se per gli agenti chimici di base non si ha una conoscenza fondamentale "per me è così perchè ...." che senso ha parlare di omega 3 o 6, di nutraceutici, di raffinatezze quando il grosso dei consumi (sono 8.400 le tonnellate di oligominerali che si utilizzano in italia ogni anno per l'integrazione degli alimenti per animali) lo si utilizza perchè "si è sempre fatto così". Dov'è la credibilità dei tecnici di settore? Come si può nutrire fiducia nella loro scienza se per i prodotti utilizzati ogni giorno "tirano diritto"?

 

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26 gennaio 2011 3 26 /01 /gennaio /2011 15:19
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20 gennaio 2011 4 20 /01 /gennaio /2011 14:07

ho fatto una scommessa con un mio collega. Lui sostiene che anche per i salumi si dovrà, con la nuova normativa italiana, poter conoscere, quali consumatori, la provenienza della carne di maiale utilizzata in quel salume.

Io dico che non sarà così. L'industria potrà continuare a chiamare "brianzolo" un salame preparato e confezionato in "brianza" ma con carne proveniente da spagna, danimarca, germania, o altro e SENZA dare alcuna informazione.

Lo stesso, purtroppo, sarà per la bresaola (per i bovini non era già obbligatorio?).

Da questa norma dipende la possibilità di costruire il 3° scenario che era per una zootecnia di territorio, dare la possibilità al consumatore di scegliere tra diversi "sistemi".

Ho una dannata paura di vincerla la scommessa.

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13 gennaio 2011 4 13 /01 /gennaio /2011 13:51

leggo su all about feed che:

- anche francia e danimarca hanno importato grassi provenienti dalla germania.

- la harles & jentzscher sita nello Schleswig-Holstein ha avviato procedura per fallimento e che la settimana scorsa gli è stato tolto l'autorizzazione GMP.

Questo cosa insegna?

Il settore della sicurezza alimentare è un numero chiuso. Da ogni numero chiuso quello che può succedere è difficoltà ad entrare ma facilità nell'uscire.

certamente mi rammarico per qualsiasi fatto negativo che tocchi il settore, ma in più mi rammarico della persistenza nel NON voler informare correttamente il consumatore.

L'impiego di grassi additivati da materiale secondario era già avvenuto in belgio, quindi è una pratica straconosciuta.

Leggo le assicurazione del ministro fazio: "non c'è pericolo, le dosi pericolose dovrebbero superare di 100 volte le soglie", ma questa non è una valida scusa che porti valori alla sicurezza alimentare. Le disposizioni se ci sono si debbono osservare, altrimenti si modifichino le soglie.

Sto da sempre insistendo che il ventre molle è rappresentato dall'Italia, importatore netto di carne suina e bovina e di latte. Vogliamo informare il consumatore che la torta, pasta all'uovo, salumi o altre derrate alimentari contengono (carne, uova, e latte) NON prodotte in Italia?

Perchè questa reticenza nel volerlo dire?

Perchè non dire che il salame brianza di brianza può avere solo (e non si sa sino a quando) l'impacchettamento, mentre la carne è di suino spagnolo, olandese, tedesco, francese (senza nulla, ma proprio nulla togliere alla qualità dei prodotti di questi paesi). In questo caso sto valorrizando una parte del marchio italiano che non deve essere svilita. Tutto quanto resta valido per la facciona della bruno alpina sull'etichetta della "bresaola della valtellina", ma mettiamoci il muso di un bel zebù brasiliano o argentino. Perchè questa reticenza?

Per le scarpe nike si fece un clamore perchè venivano prodotte in fabbriche del far east che impiegavano mano d'opera minorile. Quello che in Italia è considerato illegale o non etico da altre parti è invece del tutto legale. Perchè non applicare in toto il presupposto primo della sicurezza alimentare: informare il consumatore chiaramente.

Poi decida lui: al limite gli si dica "latte polacco non contenente aflatossina perchè filtrato", oppure carne argentina allevata con ormoni "ma non ci sono pericoli per il consumatore".

 

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